Chi più ne ha più ne metta

Soldati-guerraLa notizia che 140 soldati italiani verranno dislocati in Lettonia, ai confini con la Russia, nell’ambito di un contingente della NATO in funzione anti-Russia, ha fatto rizzare i capelli in testa a molti italiani.

L’operazione militare della NATO, a cui parteciperà l’Italia, avviene nel quadro di una “guerra mondiale” iniziata l’11 settembre del 2001 e via via cresciuta nel mondo e ora giunta anche in Europa.

Negli ultimi anni i soldati italiani sono stati già dislocati nei paesi baltici nell’ambito di “esercitazioni” della NATO che, come tutte le esercitazioni che si tengono ai confini di paesi considerati nemici, sono vere e proprie dimostrazioni di forza.

E’ da 15 anni che l’Italia è in guerra e lo è da quel maledetto 11 settembre del 2001 con la decisione dell’allora governo Berlusconi di mandare il nostro esercito in Afghanistan a seguito delle truppe USA. Siamo in Afghanistan dal 2001 con un contingente militare, anche consistente, che oggi è di 950 soldati.

La grande maggioranza degli italiani ignora che l’Italia ha oggi in atto ben 28 missioni militari in 19 paesi: in Africa, Asia, Europa per un totale di circa 6350 soldati.
Siamo presenti in:

  • AFRICA: Libia(300),Somalia(110), Gibuti(90), Egitto(80); Mali(10), Antipirateria UE Atalanta(180), MIADIT 6 SOMALIA E GIBUTI (52);
  • EUROPA: Mediterraneo(850), EUNAVFORMED (880), Kosovo (550);
  • ASIA: Libano (1100), Afghanistan (950), Turchia (125), TFA AL MINHAD (80) [1]

Siamo in Libano dal 2006, In Kossovo dal 1999, da quando l’Italia, c’era il governo D’Alema, partecipò attivamente alla guerra in quel paese con propri mezzi militari ed il proprio esercito.
L’Italia è in guerra da allora, certo non in proprio ma sempre sotto l’ombrello della NATO che è sempre più subalterna alle politiche economiche espansioniste degli USA.

Che ci fanno i soldati italiani in Lettonia e nei 19 paesi indicati?
A quale idea delle relazioni internazionali essi rispondono?
Sono essi ispirati allo spirito dell’art. 11 della Costituzione sul “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”?

Forse sono domande retoriche, in realtà, da una ventina di anni, stiamo pagando costi molto pesanti in termini di morti: soldati italiani uccisi e soldati italiani che uccidono o collaborando ad uccidere insieme alla coalizione di cui facciamo parte;
in termini economici: le guerre costano caro, si spendono moltissimi soldi per gli armamenti (sono ormai 80 milioni ogni giorno)
in termini di riduzione dei servizi pubblici: sanità, scuola, trasporti, sicurezza del territorio e la precarietà del lavoro, …  succhiano il 73% delle risorse del Ministero per lo sviluppo economico [2].

Come vogliamo chiamarla questa politica?
Si tratta di una politica legata ad una idea dell’economia come esclusivo soddisfacimento della ingordigia di pochi ultraricchi (sempre più pochi) ai danni della intera collettività. Una logica mercantile dell’interesse esclusivo che domina la scena mondiale provocando distruzioni e rapine.. E, visto i risultati, sarebbe il caso di farla finita.

Tratto da un testo di Giovanni Sarubbi

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