Immigrati ed espulsioni: errare è umano, perseverare è diabolico

Centri-CIEMinistro di destra, Ministro di sinistra, la clandestinità resta sempre un reato, contro di essa la repressione è resa legale.

Incrementare le espulsioni degli immigrati irregolari, apertura di nuovi centri di identificazione ed espulsione (CIE – Centri di Identificazione ed Espulsione), almeno uno in ogni regione.
È il giro di vite del governo sull’immigrazione dettate tramite una circolare urgente del capo della polizia Franco Gabrielli scritta di concerto con il neo ministro degli interni Marco Minniti.
L’apertura di almeno un Cie in ogni regione servirebbe ad aumentare il numero di espulsioni su base annua a 10mila unità, contro le 5mila attuali.

Periodicamente qualche Ministro dell’Interno “riscopre” i Cie e ne programma il rilancio. Le parole del Ministro Minniti ricordano molto da vicino quelle dell’ex Ministro Maroni. Anche lui promise Cie in tutte le regioni.

Oggi i CIE operativi sono quattro: Roma, Brindisi, Torino e Caltanissetta; una capienza di circa 1400 posti, a Settembre 2016 ospitavano 272 persone (dati Ministero dell’Interno).

Dall’istituzione dei centri di detenzione (la Legge Turco-Napolitano del 1998 li chiamò inizialmente Centri di Accoglienza Temporanea e Assistenza – CPTA poi ribattezzati Centri di Identificazione ed Espulsione – CIE) sono passati ormai 20 anni.

Secondo l’indagine istituzionale eseguita dalla commissione presieduta dal senatore Luigi Manconi, i CIE sono diventati inutili e dannosi «perché di fatto sono strutture dove la permanenza degli immigrati avviene in condizioni durissime e che viene prolungata per un tempo molto superiore rispetto a quello previsto dalla legge».

Inoltre all’interno dei CIE finiscono anche immigrati che risiedono da anni in Italia e non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno in seguito alla perdita del lavoro; ci sono anche giovani stranieri che hanno sempre vissuto in Italia e che, al compimento dei 18 anni, non hanno potuto iscriversi a un corso di studi o firmare un contratto di lavoro.

L’internamento del cittadino straniero nel CIE comporta la privazione della libertà personale: lo straniero è infatti recluso in strutture assolutamente assimilabili a quelle carcerarie (infatti ci sono anche ex detenuti), sorvegliate dalle Forze dell’ordine, vive situazioni drammatiche sul piano psicologico e fisico.

Le numerose violazioni dei diritti umani che in essi sono state documentate nel corso del tempo offrirebbero in realtà da sole una valida argomentazione ai molti che auspicano la chiusura anche dei quattro CIE ancora oggi funzionanti.

Riccardo Magi, segretario dei Radicali Italiani: “Affermare che occorre intensificare i controlli, aumentare le espulsioni e creare nuovi CIE, legittimando l’equazione “clandestini uguale pericolo, significa soffiare sul fuoco dell’intolleranza e ignorare ciò che ormai dovrebbe essere evidente a chiunque”.
Nella stragrande maggioranza dei casi, l’irregolarità è dovuta agli ostacoli legislativi, amministrativi e burocratici imposti dalla Bossi Fini, e non certo alla volontà di compiere atti criminali o terroristici.

L’unica soluzione è quella di superare finalmente la Bossi Fini, favorendo in ogni modo la regolarizzazione di chi viene nel nostro Paese per lavorare onestamente, concentrando gli sforzi di polizia sui pochi pochissimi casi di effettivo pericolo”.

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