Con il dolore del mondo

Leuropa-che-vogliamoQuesta mattina ha preso avvio la “Marcia Perugia – Assisi” sotto lo slogan “Non tutti sono indifferenti“, per «contrastare il linguaggio del razzismo e della violenza».

Ogni giorno 42mila persone si mettono in cammino per fuggire dalle guerre e dalla miseria.

Il loro dolore, la loro angoscia, sono, in qualche modo, anche i nostri perché sentiamo le loro grida di aiuto, vogliamo fare qualcosa, reagire, rispondere.

Il problema è che ci sentiamo in pace mentre siamo in guerra. Una guerra vera. Una guerra mascherata da pace.

Ogni tanto una foto, un’immagine, un attentato, una tragedia, un fatto ci colpisce e abbiamo un soprassalto di consapevolezza, di coinvolgimento. Ma dura poco.

Ciascuno è interessato ai fatti che lo coinvolgono direttamente.

Nel frattempo, i fatti si muovono, si moltiplicano, si complicano modificando rapidamente la realtà, sconvolgendo le nostre convinzioni, costringendoci a fare i conti con problemi sempre più difficili e complessi.

Il senso della marcia: rimetterci in cammino.

Vincere l’indifferenza, la rassegnazione, la sfiducia, recuperare la capacità di pensare, di agire e di farlo assieme.

Riconnetterci con il dolore del mondo perché il dolore ci rende tutti più umani.

La sofferenza delle persone sta crescendo in tante parti del mondo come nelle nostre città, nelle nostre famiglie.

C’è il dolore terribile, angosciante di tutte le persone che stanno agonizzando per la fame, la sete e la mancanza di cure (di questi giorni la Nigeria, lo Yemen,..), di quelle che sono martoriate dalle bombe e dal terrore ad Aleppo o in qualche altro mattatoio dimenticato, di quelle che cercano di scappare e trovano muri, respingimenti, di quelle che perdono il lavoro, delle donne abusate, violentate,…

E c’è il dolore che ci portiamo dentro, il dolore profondo della vita che viene da un malessere diffuso e accompagna il senso di inquietudine e smarrimento.

E poi c’è il dolore della natura che a forza di alte temperature, di bombe d’acqua, di scioglimento dei ghiacciai, di innalzamento del livello dei mari e di desertificazione manifesta le conseguenze dei disastri che abbiamo causato.

Guerre, nazionalismi, muri, xenofobia, corsa al riarmo, trafficanti di armi e di spese militari …

E, all’ombra di una democrazia e libertà sempre più virtuali, scorrazzano gli imprenditori della paura e i fomentatori d’odio.

Non c’è uno spazio pubblico internazionale dove non si respiri un’aria di tensione e di scontro: tutti contro tutti. Veniamo da un lungo tempo dominato dalla cecità e dalla sordità politica ed economica.

«Restiamo umani» ci implorava Vittorio Arrigoni dalla Striscia di Gaza.

Le nostre città non sono isole ma spazi attraversati, spesso investiti, dalle correnti di tutto il mondo. Dobbiamo pensare alle nostre città-mondo come un laboratorio del mondo nuovo che vogliamo costruire.

È arrivato il tempo di ripescare la nostra umanità nel mare in cui l’abbiamo lasciata sprofondare,

ri-unire le energie positive, le persone che hanno deciso di non rassegnarsi, di assumere le proprie responsabilità, di cercare di capire cosa non va nel nostro modo di vivere e di «fare società», di cambiare qualcosa nella propria vita e di unirsi ad altri per capire come costruire nuovi rapporti economici, sociali.

(da un artcolo di Flavio Lotti – su il Manifesto)

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