MAI PIU’ LAGER! – NO AI CPR

L’annuncio del governo in carica di voler riconvertire nuovamente il centro di accoglienza per richiedenti asilo di via Corelli a Milano in CPR – ovvero un centro di detenzione amministrativa per stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno in attesa di esecuzione di un provvedimento di espulsione – ha riportato alla ribalta una questione che si riteneva ormai conclusa da tempo.

Da quando cioè l’ex CIE di via Corelli era stato chiuso nel 2014, e così diversi altri in Italia (rimanendone solo una manciata sul territorio, prevalentemente al Sud), a seguito delle proteste, spesso e volentieri represse con la violenza, delle persone “ospitate” in condizioni insostenibili, e della conseguente pressione dell’opinione pubblica.

Invece, dagli ultimi proclami dell’attuale governo, pare proprio che non rimarranno lettera morta le disposizioni della Legge Minniti – Orlando del 2017 che hanno previsto l’istituzione di un CPR per ogni regione. E significativamente pare che si partirà proprio da Milano.

Questo ha spinto varie realtà milanesi e  singoli cittadini a costituire una rete di mobilitazione (MAI PIU’ LAGER! – NO AI CPR) regionale, ma destinata a varcare anche i confini lombardi, considerata la prospettata apertura di nuovi CPR in altre regioni d’Italia.

Con riguardo a questo tema, intento della rete è in primo luogo:

  • impedire, con attività di mobilitazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica, nonché ricorso formale alle istituzioni, l’apertura di nuovi CPR, nonché ottenere la chiusura di quelli esistenti, che per di più si risolvono alla fine con il rilascio di un invito a lasciare il territorio in maniera autonoma, atteso l’enorme dispendio di mezzi necessari per attuare il rimpatrio e l’assenza dei necessari accordi con i Paesi di provenienza;
  • nelle more, chiedere l’estensione alle persone detenute nei CPR delle garanzie riconosciute nel sistema penitenziario penale.

Per meglio motivare le nostre istanze, è bene ricordare che i “Centri di Permanenza per i Rimpatri” della Legge Minniti – Orlando trovano il loro antecedente nei Centri di Permanenza Temporanea (CPT) della Legge Turco – Napolitano del 1998, e che questi hanno subito negli anni un restyling nei fatti solo terminologico, con la ridenominazione in “Centri di Identificazione ed Espulsione” (CIE) con la Legge Bossi – Fini nel 2002 prima di giungere all’attuale, ma hanno sempre conservato identiche struttura e funzione: il regime di detenzione che vi si attua è del tutto analogo a quello del sistema penitenziario penale, con la determinante differenza che chi la subisce non è accusato di un reato, bensì della sola responsabilità amministrativa di essere privo di un valido titolo di soggiorno, che, paradossalmente, l’attuale ordinamento non consente loro di acquisire.

Con l’ulteriore significativa differenza che all’interno dei CPR non sono garantiti i diritti riservati ai soggetti in detenzione penale, come ad esempio quelli alle visite e dei colloqui con i legali.

Rispetto ai centri di accoglienza (nei quali vige l’obbligo di rientrare solo durante la notte), non sono previste invece per chi è detenuto del CPR, che vi restano reclusi notte e giorno, attività di formazione. Salve rare eccezioni in occasione di delegazioni autorizzate e previo l’espletamento di complicate formalità, nessuno può avervi accesso, oltre al personale di polizia: neppure giornalisti o associazioni umanitarie.

Ebbene non ci lascia tranquilli il fatto che in tali condizioni siano rinchiuse, anche per diversi mesi, donne, uomini e anche, senza alcuna cura delle peculiarità del caso, appartenenti alla comunità LGBTQI; perché siamo nel Paese dei taser, nel Paese di Bolzaneto e della Diaz, di Cucchi, Aldrovandi (e tanti, troppi altri), il cui Ministro degli Interni ha dimostrato di non farsi  scrupoli a dare quotidiane prove di forza politica ed elettorale giocate sulla pelle di uomini, donne e bambini, sia con utilizzo strumentale del tema migratorio, sia tenendone concretamente  in ostaggio diverse centinaia in mare aperto fino allo stremo, pur sotto tutti i riflettori dei media internazionali.

E di qui il punto, e l’ambito del più ampio interesse della rete. Perché ad accusarci di “buonismo” sarà solo chi è così cieco da non avere ancora compreso che gli stranieri nel nostro Paese sono solo le cavie dell’ultimo stadio dell’esperimento di successo, avviato negli anni ’90, di marginalizzazione delle minoranze e delle diversità, di sfruttamento delle categorie più deboli, ma anche di progressiva precarizzazione dei diritti civili, sociali e politici, che interessano tutte e tutti. Mentre l’istigazione all’odio dello straniero (ormai… istituzionalizzata) è solo l’arma di distrazione di massa per mimetizzare questo processo trasversale, oltre ad essere il fondamento di una irresponsabile strategia elettorale, allo stato – anzi, allo Stato – purtroppo vincente.

Riprova di tale trasversalità sono ad esempio le bozze del Decreto Immigrazione e del Decreto Sicurezza di recente circolate (infine unificate in un unico provvedimento, ribadendo un binomio che la dice lunga sulla visione del fenomeno migratorio adottata), nelle quali l’attuale Governo – trovando buon gioco nell’approfondire il solco già tracciato dal precedente – con strumenti normativi emergenziali affronta, fenomeni invece strutturali; e con l’occasione, approfittando del terrorismo psicologico di Stato instillato con una vera e propria strategia della tensione, interviene ridimensionando drasticamente le ipotesi di concessione di permesso di soggiorno e sulla spesa pubblica per l’accoglienza. E allo stesso tempo attenta sfrontatamente a principi basilari di rango anche costituzionale, quali il principio di presunzione di colpevolezza, quello di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge (la cittadinanza acquisita potrà essere revocata!) e quello del diritto alla difesa con il gratuito patrocinio.

Per non dire delle disposizioni di “sicurezza” quali il ripristino del reato di blocco stradale, l’inasprimento delle pene nei confronti di chi promuove ed organizza occupazioni abusive (“di matrice non solo politico-ideologica”), la dotazione di taser per le polizie municipali e l’allargamento delle misure di tutela del decoro urbano anche ai presidi sanitari e le aree destinate a fiore, mercati e pubblici spettacoli.   Esse rivelano la chiara direzione imboccata, verso un vero e proprio Stato di polizia. Per tutte e tutti, cittadine/i e non.

In tale contesto, quindi, riteniamo che i CPR (destinati peraltro alla moltiplicazione e al sovraffollamento, a seguito dell’esercito di irregolari generato dal nuovo decreto) siano l’emblema, l’incarnazione dell’incubo del porto franco da ogni minima garanzia di diritti umani, civili e sociali, che deve costituire un monito e un deterrente per tutti coloro che abbiano a cuore i valori della democrazia e dell’antifascismo. 

E di qui la chiamata a voler unire sotto il simbolo «MAI PIU’ LAGER! – NO AI CPR», al di là dello specifico tema della riapertura dei CPR, tutte e tutti coloro che si riconoscono in detti valori e li considerano in pericolo, non solo per le migranti ed i migranti sul nostro territorio, ma per tutte e tutti, ed intendono presentare a più livelli e con più modalità le proprie istanze, avviando attività di mobilitazione diretta e di sensibilizzazione di un’opinione pubblica che, ormai narcotizzata e plagiata – da destra e da sinistra – con il falso mito della sicurezza e della legalità, non si è accorta di essere stata nel frattempo derubata quasi di tutto.

Rete di mobilitazione “MAI PIU’ LAGER! – NO AI CPR”

Per adesioni: noaicpr@gmail.com

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