Cambiare la Costituzione? Noi diciamo «NO»

Costituzione-Non-si-tottamaIeri sera, 14 Novembre, nel salone parrocchiale a Muggiano (MI), Valerio Onida – Comitato per il NO e Roberto Cociancich – Comitato per il SI, hanno dato vita ad un confronto utile anche se a volte un po’ confuso. All’uscita una signora commentava ad alta voce: “se prima avevo dei dubbi ora ho la certezza di votare NO“.

In effetti quello che è stato reso evidente nel dibattito, è che la scelta del “SI” è sostanzialmente basata su due fattori determinanti: l’economia di mercato e il potere decisionale.

Renzi, fin dall’inizio, ripeteva che le modifiche costituzionali non sono un mero fatto tecnico ma parte di una strategia politica, pertanto aveva ragione quando diceva: se vince il NO me ne vado, perché l’impostazione della riforma, il suo merito è parte della strategia politica del suo governo.

Osservando gli elementi portanti le politiche del Governo Renzi, in particolare in questo ultimo anno, si notano quanto siano prevalenti i “valori” dell’economia di mercato, le privatizzazioni e le determinazioni di potere.
Alle Regioni sono stati imposti 8 nuovi inceneritori; il Jobs Act di cui abbiamo imparato quanta parte di interessi vanno ai datori di lavoro; la riforma elettorale ‘Italicum’ che ha voluto anticipare le proposte di riforma costituzionali; sono state rilasciate 2 nuove concessioni di perforazione, nell’Adriatico per 30.000 km2 e nel mare di Sicilia per 4.000 km2;
Tra parentesi: gli 8 inceneritori spareranno nell’aria ulteriori 1.500.000 ton di CO2, inoltre sappiamo che le trivelle sono fortemente inquinanti, due decisioni che sono anche il sintomo della reale volontà del Governo, nei giorni della Cop 22 a Marrakech, di rispettare l’accordo di Parigi sul clima pur sottoscritto con ritardo).

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Nella stessa serata di ieri a Torino, nell’aula magna dell’Università degli studi,  Gustavo Zagrebelsky (già presidente della Corte costituzionale)  interveniva nel dibattito proponendo alcuni punti interessanti ed essenziali di analisi sulla proposta di riforma costituzionale

  1. Populismo.
    Vuol dire: cittadini che non agiscono, ma reagiscono a slogans. La politica è considerata un “costo” intollerabile per i decisionisti: per loro la tecnica vale più della democrazia. Puntare a trascinare e impressionare la “maggioranza silenziosa” è populismo.
  2. Prepotenza.
    Napolitano, esorbitando dalle sue funzioni, mise come condizione per essere rieletto la riforma della Costituzione, che non può essere convocata dal potere esecutivo [Calamandrei: “Quando si tratta di Costituzione i banchi del governo devono essere vuoti”, cioè i governanti ritornano parlamentari. Così fece De Gasperi].
    Questo Parlamento, bollato dalla illegittimità del “porcellum” incostituzionale perché ha “rotto il rapporto di rappresentanza” (nientemeno! Così dice la sentenza 1/2014 C. Cost.), doveva limitarsi alla normale amministrazione.
    Dicono che la riforma non tocca la prima parte, e invece viola l’art. 1 sulla sovranità popolare, nelle sue forme e limiti,  rappresentata da nominati invece che eletti.
  3. Governo.
    La riforma pone il centro in alto, nell’esecutivo, il Governo diventa centro propulsore, da esecutivo come deve essere, ne fa il controllore del Parlamento: esegue altre volontà, non quella del Parlamento. Lo spread determina la speculazione finanziaria.
  4. Cosa cambiare.
    Ultimo comma dell’art. 117: l’interesse nazionale “spiana” le competenze regionali, è una soluzione brutale. Oligarchia (se non autoritarismo) è la decisione in sede riservata.
    Se vince il NO, non è il disastro, ma si riapre lo spazio della politica.
    Oggi vige la “dittatura del presente“, che blinda e consolida l’esistente: “non può essere altro da ciò che c’è!“.  [Invece, dal seminario su Luciano Gallino, l’8 novembre: “Tutto ciò che è può essere diversamente!]

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