Comunicato finale del Vertice Sociale per il Clima
Il mondo si è svegliato davanti all’emergenza climatica – Ce ne andiamo molto più forti che mai.
Il Vertice Sociale per il Clima (Cumbre Social por el Clima) ha rappresentato uno spazio fondamentale per la contestazione sociale alla COP25.
Nonostante le sfide logistiche e umane dovute al poco tempo a disposizione per organizzare tutto, sin dall’inizio siamo stati disponibili ad occuparci del coordinamento con i diversi spazi sociali cileni già in marcia, soprattutto la Minga Indigena, il Vertice dei Popoli e la Società Civile per l’Azione Climatica (Sociedad Civil por la Acción Climática, SCAC).
Questi spazi hanno mantenuto le loro attività in Cile, ma la presenza dei loro messaggi e delegazioni al Vertice Sociale per il Clima era di fondamentale importanza. Fattori come la denuncia dell’estrattivismo, la violazione dei diritti umani, le richieste relative alla giustizia sociale e alle popolazioni originarie sono stati sin dall’inizio al centro delle nostre rivendicazioni.
Più di 15.000 persone e 300 organizzazioni, reti, gruppi e movimenti sociali di tutti i continenti si sono dati appuntamento nei giorni del Vertice per parlare, scambiare idee e fare proposte su ecofemminismo, migrazioni, neocolonialismo, indigenismo, occupazione, agroecologia, energia, transizioni, democrazia e ??? coltivazione rigenerativa, fra gli altri temi. Di fronte ai dibattiti deludenti dei negoziati ufficiali, che riguardavano questioni come i mercati del carbonio o le compensazioni, il Vertice si è occupato di dar spazio a un dibattito molto più ricco e articolato sulle soluzioni reali.
Durante le assemblee plenarie di ogni giorno, in alcune delle quali hanno partecipato migliaia di persone, abbiamo avuto l’occasione di ascoltare decine di amiche e amici appartenenti a comunità molto diverse che hanno condiviso le loro lotte e il modo in cui stanno affrontando in prima linea le aggressioni dell’estrattivismo e dell’impatto climatico.
Come affermano nella lettera che è stata consegnata alla presidenza della COP25, le popolazioni indigene sono “i guardiani della vita nei territori con maggior biodiversità del pianeta”, che lavorano per “il vivere bene, la vita, la natura e l’umanità, che sia indigena o meno”.
Queste popolazioni indigene, che difendono il territorio dalle multinazionali, dall’estrattivismo e dalla commercializzazione del pianeta, hanno affermato che la terra è fondamentale per il sostentamento degli esseri umani e non umani, e che l’equilibrio tra materiale e spirituale è importante.
Partendo dalla loro concezione della Madre Terra come un essere vivo e dalle loro conoscenze tradizionali, hanno contribuito con una visione attenta che mira alla necessaria trasformazione ecologica. Ci uniamo a queste popolazioni e nazioni denunciando il ruolo delle multinazionali, esigendo la fine della criminalizzazione e della persecuzione di cui sono vittime per voler proteggere gli ecosistemi; dichiariamo che la Madre Terra in quanto essere vivente è soggetto portatrice di diritti e chiediamo che i combustibili fossili rimangano nel sotto suolo, lontani dalle azioni dell’estrattivismo colonialista.
Quello che abbiamo imparato dalle popolazioni indigene è che il colonialismo è ancora presente, e non soltanto nelle grandi aziende ma anche nel nostro modo di pensare e attuare.
Il percorso verso la decolonizzazione è lungo, ma vogliamo percorrerlo perché, come conclude la lettera presentata dalla Minga indigena alla COP25, “è il momento di unire gli sforzi di tutto il mondo e mettere da parte le nostre differenze”.
Vogliamo anche sottolineare la persecuzione che subiscono soprattutto le donne e la popolazione Mapuche, la cui repressione è pratica storica di tutti i governi fino ad oggi. Per questo appoggiamo la loro lotta ed esigiamo la cessazione della loro repressione e la liberazione delle prigioniere politiche. Allo stesso modo, appoggiamo tutte le popolazioni che lottano per difendere i propri territori e ricordiamo le donne che sono state assassinate solo per esercitare questo diritto. È stato un onore avere al Vertice Laura Zúñiga Cáceres, figlia di Berta Cáceres, assassinata dal governo dell’Honduras per aver difeso il suo territorio.
Il nostro sguardo non ha lasciato le recenti mobilitazioni in Cile, la cui popolazione tutti i giorni scende in strada per lottare per il cambiamento. Abbiamo denunciato le violazioni dei diritti umani da parte del governo di Piñera, che assassina, fa sparire, ferisce, tortura e viola. Questa è una manifestazione evidente della crisi del sistema neoliberale, che non solo ha reso precaria la sanità pubblica, saccheggiato il sistema pensionistico e indebitato vari strati della popolazione (soprattutto quella studentesca), ma ha anche esercitato da decenni una politica estrattivista che depreda il territorio. Mentre la crisi climatica diventa sempre più evidente in Cile, con processi come la desertificazione, il depauperamento delle falde acquifere e l’innalzamento del livello del mare, mettendo a rischio la vita in questi territori, queste richieste si sono aggiunte alla lotta per la giustizia sociale. Per questo con il Vertice Sociale per il Clima abbiamo voluto mettere in evidenza il nesso tra la crisi sociale e la crisi ecologica come manifestazioni dello stesso problema, ovvero un modello economico che mette a rischio la vita.
Nelle assemblee plenarie sono state seguite anche i negoziati ufficiali della COP25, la lotta climatica dei movimenti giovanili, il lancio del Manifesto latino-americano per il clima da parte di SCAC/FIMA, la dichiarazione finale del Vertice dei Popoli, le lotte delle difenditrici dei diritti umani, la criminalizzazione delle proteste e le lotte degli attivisti contro i combustibili fossili e i megaprogetti, l’ecofemminismo e le alternative per un futuro auspicabile.
La nostra visione sulla COP25
Tutti noi, difenditrici e difensori della giustizia climatica, personalità scientifiche, giovani, donne, indigene, contadine, attiviste di organizzazioni e movimenti sociali di tutto il mondo, ci siamo riuniti al Vertice Sociale per il Clima e abbiamo manifestato in massa a Madrid per far suonare all’unisono ancora una volta l’allarme: i negoziati della COP25 ci stanno portando ad un riscaldamento globale con conseguenze catastrofiche. Dipende da noi formulare le risposte all’emergenza climatica; non possiamo aspettarci niente dalla maggior parte degli stati i cui impegni dovrebbero essere incrementati enormemente.
La vita delle persone e del nostro pianeta sono in pericolo. I paesi del Nord del mondo stanno accumulando un debito storico a cui devono rispondere garantendo i fondi necessari per frenare l’emergenza ecologica e sociale della maggior parte del pianeta. Non è ammissibile continuare a dubitare sull’importanza della salvaguardia dei diritti umani nella lotta per il clima. Sarebbe imperdonabile se meccanismi come i mercati del carbonio o lo sviluppo pulito continuassero ad essere fonte di violazioni sociali e ambientali.
Questo vertice ignora ancora una volta la necessità di cacciare i maggiori contaminatori da questi vertici. Peggio, fa sì che, attraverso la sponsorizzazione, diventi una vetrina in cui le aziende responsabili del degrado climatico si rivestono di verde, ottenendo inoltre l’accesso privilegiato ai politici e negoziatori.
Mentre nelle riunioni plenarie si parla delle mobilitazioni di massa degli ultimi mesi, si ignorano le richieste di misure reali, con l’esclusione dal vertice ufficiale di oltre 300 persone, tra cui difensori della giustizia climatica, personalità scientifiche, giovani, donne, leader indigene e rappresentanti di organizzazioni di tutto il mondo, che si erano riuniti per una protesta pacifica e per far suonare l’allarme all’unisono: i negoziati della COP25 sono state deviati pericolosamente.
Nel 2015 i paesi giunsero all’accordo su un processo debole, conosciuto come l’Accordo di Parigi, ma, come la comunità scientifica fa notare, questo patto globale è incapace di arrestare la crescita della temperatura globale al di sotto dei 2°C o, se possibile, 1,5°C. La COP25 potrebbe persino ridurre quest’ambizione. A causa delle lunghe tempistiche per presentare i nuovi impegni, potrebbero passare anni prima di affrontare l’emergenza climatica, il che avrà conseguenze catastrofiche.
Nonostante ci rimangano appena 10 anni prima di doverci confrontare con l’emergenza climatica, si continuano a proporre sviluppi di meccanismi come i mercati del carbonio o il meccanismo di sviluppo pulito che sono già stati fonte di numerose violazioni dei diritti umani e ambientali. Continuare a permettere alle grandi aziende petrolifere, aeronautiche civili e marittime, minerarie, elettriche, etc. di condizionare la strada verso la decarbonizzazione dell’economia è semplicemente inammissibile. Soltanto una pianificazione corretta che possa trasformare il sistema capitalista depredatore in un sistema a misura del nostro pianeta e che abbia come interesse centrale la vita potrà frenare l’emergenza climatica.
Solamente con la nostra capacità di mobilitazione, organizzazione e comprensione ci salveremo dall’emergenza ecologica e sociale che stiamo vivendo. Abbiamo imparato le une dalle altre, abbiamo costruito legami di solidarietà, ci siamo contagiate la voglia di lottare.
Ce ne andiamo molto più forti di quando siamo arrivate.
Continueremo a fare pressione sui politici per difendere il bene comune. Rimarremo nelle piazze per frenare l’emergenza climatica, da Santiago a Madrid formeremo reti di solidarietà con le popolazioni che lottano per la giustizia in tutto il mondo. Di fronte alla politica neoliberale, le zone di sacrificio e la follia di continuare a estrarre combustibili dal suolo, facciamo appello alla resistenza pacifica ma forte e continua; dopo tutto, il mondo si è svegliato di fronte all’emergenza climatica.
27/12/2019