L’anno del Circeo. Cinque tesi
- Mi ricordo
Mi ricordo di quando nei processi per stupro l’intera società dei maschi metteva sotto accusa la vittima.
Mi ricordo del tempo in cui quella violenza contro le donne era considerata nel codice penale un reato “contro la stirpe” e non contro una persona, e la donna vittima di violenza non era considerata persona, ma carne, e quella violenza la si chiamava “violenza carnale“.
Mi ricordo l’anno del Circeo, chi ha la mia età non può dimenticare.
Da allora sono invecchiato di mezzo secolo, e mi sembra che quei tempi non siano ancora finiti, non sia ancora abolito quell’orrore.
Da allora sono invecchiato di mezzo secolo, e so che la lotta fondamentale e decisiva per la liberazione dell’umanità è quella del movimento delle donne.
* - Da quale parte della barricata
Le donne che denunciano le violenze subite da uomini, e massime da uomini potenti, da uomini che hanno il potere di decidere della loro vita, sanno che denunciare quelle violenze e questo potere – questo violento sistema di potere – significa esporsi a nuove violenze. Sanno che la dittatura dei maschi userà ogni mezzo per vendicarsi. Sanno che gli schiavisti non ammettono che le vittime possano ribellarsi, e con tutta la loro forza cercheranno di schiacciarle. Eppure queste donne denunciano i loro carnefici. C’e’ una parola per questo: coraggio.
So quale è la mia parte della barricata: per quel poco che conta la mia persona, sono dalla parte di queste donne senza esitazioni. So che la loro denuncia, la loro lotta, non riguarda solo loro, riguarda l’umanità intera. Riguarda anche la mia dignità, la mia libertà. So che chi non si schiera con loro, si schiera con la dittatura fascista dei maschi. Sono un uomo, non sono un fascista. So quale è la mia parte della barricata: per quel poco che conta la mia persona, sono dalla parte di queste donne senza esitazioni.
* - Nessun sofisma
Nessun sofisma può occultare il fatto che una violenza è una violenza. Che quella violenza sia la regola dei rapporti sociali significa solo che occorre abolire quella violenza e rovesciare i rapporti sociali su quella regola fondati.
Le donne che oggi smascherano la ferocia del dominio maschilista e patriarcale chiamano l’umanità intera a fondare un’altra società, la società dell’eguaglianza di diritti, la società del riconoscimento della dignità di ogni persona, la società in cui la diversità di ogni persona sia riconosciuta come un dono prezioso e valorizzata in una trama di relazioni tra eguali in diritti, persone eguali proprio perché diverse, che si riconoscono diverse ed eguali: una e plurale è l’umanità.
* - La prima radice
So che il dominio maschilista e patriarcale è la prima radice e il primo paradigma di ogni violenza: so che non si potrà sconfiggere il modo di produzione che aliena e schiavizza le persone e le sacrifica al feticcio dell’accumulazione del potere, del prestigio, dei beni e del capitale se non si sconfigge il dominio maschilista e patriarcale; so che non si potrà impedire l’irreversibile devastazione e desertificazione della biosfera se non si sconfigge il dominio maschilista e patriarcale; so che non si cancellerà l’obbrobrio delle dittature, delle guerre e del militarismo – ridurre degli esseri umani ad utensili per uccidere degli esseri umani – se non si sconfigge il dominio maschilista e patriarcale; so che non si realizzerà il disarmo – nel tempo in cui le armi possono distruggere per sempre la civiltà umana – se non si sconfigge il dominio maschilista e patriarcale. So che non vi sarà una società libera e solidale, responsabile e accudente, sobria e armoniosa, se non si sconfigge il dominio maschilista e patriarcale.
Il dominio maschilista e patriarcale è la prima radice e il primo paradigma di ogni violenza: chi non lo vede, è cieco.
* - Queste parole
Scrivo queste parole che penso dovrebbero essere ovvie. Le scrivo per dichiarare la mia opposizione a due barbarie: la barbarie della violenza maschile, e la barbarie della criminalizzazione delle vittime della violenza maschile. Le scrivo perché nessuno è fuori della mischia. Le scrivo perché credo che in questa lotta che le donne oggi stanno conducendo è anche il senso – e quindi il valore – di tutto il mio agire di militante del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta per la liberazione dell’umanità, di persona amica della nonviolenza, di uomo che non vuole essere complice del fascismo.
Peppe Sini
responsabile del “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo