Non c’è giustizia senza pace.
Ovvero i cinque pilastri per le nuove culture dell’alternativa nonviolenta. Questo Secolo XXI inaugura – speriamo – un Terzo Millennio contraddistinto dalla Nuova Civiltà della Pace per il genere umano.
L’epoca che scaturisce dal “crinale apocalittico della Storia” (La Pira) che stiamo attraversando sarà caratterizzata, nello sbocco positivo, se lo raggiungeremo, da Cinque Pilastri culturali:
- Umanità;
- coscienza ecologica globale;
- eguaglianza: società del diritto eguale tra le differenze (a partire dalla differenza tra maschile e femminile);
- nonviolenza;
- conversione all’economia della sobrietà.
1) Stiamo realizzando il nuovo internazionalismo dei diritti della persona, dei diritti sociali e politici e dei diritti dell’Umanità.
Siamo “cittadini del mondo” che aborriscono il nazionalismo e relegano in secondo piano le identità particolari e locali (pur da preservare, ma non per alimentare e coltivare il “noi contro gli altri”).
La nostra ispirazione per una unica famiglia umana quale soggetto fondamentale di riferimento “identitario” si trova nell’appello Russell-Einstein del 1955: “Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra comune umanità, e dimenticate il resto“.
Slogan che, di conseguenza, segniamo con la matita rossa:
“Prima i francesi” (Marine Le Pen); “Prima gli italiani” (Matteo Salvini); “Prima i siciliani, catalani, i musulmani, i cristiani, i buddhisti … e così via”!
2) Siamo consapevoli che la specie umana è parte della evoluzione naturale: non è la Terra che ci appartiene ma siamo noi che apparteniamo alla Terra. Abbiamo la responsabilità comune di preservare i cicli eco sistemici (globali e locali) che garantiscono la nostra sopravvivenza e di evitare l’ecocidio (ad es. con le guerre nucleari, con l’inquinamento radioattivo, con tutte le forme di inquinamento). Siamo tutti, in senso proprio, figli e figlie della Madre Terra e quindi perciò stesso fratelli e sorelle. Siamo i custodi degli equilibri ecologici che assicurano le basi vitali anche per le generazioni future.
Riteniamo illuminante quanto afferma la Costituzione dell’Ecuador, che è la prima a riconoscere i “diritti della Madre Terra”, in particolare all’art. 71: “La natura o Pacha Mama, dove si riproduce e si realizza la vita, ha diritto al rispetto integrale della sua esistenza e al mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, della sua struttura, funzioni e processi evolutivi. Tutte le persone, comunità, popoli o nazionalità potranno esigere dalle autorità pubbliche il rispetto dei diritti della natura“.
Frasi che segniamo con la matita rossa (non è molto difficile recuperare di chi sono):
“Rifaremo il mondo ad immagine e somiglianza dell’Uomo”.
“L’Uomo non ha una Natura, ha essenzialmente una Storia che è la sua vera natura”.
Frasi che incorniciamo:
Fratello Sole, Sorella Acqua (S. Francesco di Assisi)
Noi non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli. (Proverbio degli Indiani d’America).
3) L’eguaglianza tra gli esseri umani che perseguiamo si fonda sulla “cultura dei diritti”: una codificazione universale di regole che si contrappone alla pratica dell’arbitrio dei singoli Stati e poteri fondata, in ultima analisi, sulla forza (distruttiva).
Il XX secolo è stato, nel suo lato positivo, il secolo dei diritti umani. Innanzitutto con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (ricordiamo tra gli estensori Stéphane Hessel) e l’approvazione dei diritti civili e politici nel 1948; in secondo luogo con l’approvazione dei diritti economici, sociali e culturali nel 1966. Adesso il XXI secolo deve diventare il secolo dei diritti dell’Umanità e della Madre Terra.
La Carta dei diritti dell’Umanità, sulla base della proposta (da emendare e migliorare) dello Stato francese, deve sostanziare la missione che il tempo presente ci consegna: proclamare e realizzare non solo i diritti delle persone singole o organizzate nelle formazioni sociali; ma i diritti dell’Umanità quale componente vivente unica, inscindibile dalla Natura.
L’eguaglianza che perseguiamo, nella logica dei diritti e del diritto, non è egualitarismo appiattente ma riconoscimento e valorizzazione delle differenze e diversità, a partire dalla fondamentale differenza tra genere maschile e femminile, per promuovere il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene comune.
Frasi che segniamo con la matita rossa:
“Solo la forza dell’interesse utilitaristico muove la Storia, che è affermazione di volontà di potenza”.
“Il diritto è la mera mascheratura ipocrita della volontà della classe sociale egemone”.
4) La nonviolenza, a questo punto della Storia, non è una via ma “la” via: “il cammino che dobbiamo imparare a percorrere” (Stéphane Hessel). Dobbiamo comprendere, poiché fini e mezzi sono legati, che non c’è giustizia senza pace, non c’è futuro della vita senza pace: la pace, anche solo quella “negativa” – una dinamica di confronto e dialogo non armato – è il contesto migliore in cui possono essere combattute le ingiustizie sociali, le oppressioni ed ogni forma di autoritarismo, le discriminazioni legate alla “razza”, alla provenienza geografica, al sesso ed alla religione. Dobbiamo esigere il disarmo totale, a cominciare da quello nucleare, perché la “deterrenza” è certezza di distruzione. Come ci ammoniva Albert Einstein: “O l’umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti distruggeranno l’umanità”. Ma la nonviolenza non va intesa come pacifismo generico, come “non resistenza al male”, o il solo rifiuto etico di uccidere il prossimo, bensì come la “forza dell’intelligenza strategica e dell’unità popolare”. E’ a questa forza, da gestire in modo pianificato ed organizzato (prevenire è essenziale!), che va affidata la difesa dei diritti e del diritto dalla violenza strutturale, ma anche dalla violenza diretta: è l’obiettivo della “difesa popolare nonviolenta”. Questa forza, che è la più potente perché comprende come le dinamiche di potere dipendano da collaborazioni sociali “estorte” o liberamente costruite, nasce dalla partecipazione popolare organizzata e quindi da uno sviluppo democratico legato al protagonismo della base, della cittadinanza attiva mobilitata, con azioni locali dall’ispirazione globale, in associazioni e movimenti sociali e politici. Le singole tecniche e pratiche nonviolente (l’obiezione di coscienza, il boicottaggio, la disobbedienza civile, lo sciopero, etc.) vanno subordinate alla strategia che è basata sul principio di “trasformare i gruppi umani nemici in gruppi umani amici”.
Frasi da segnare con la matita rossa:
“La violenza è la levatrice della Storia”.
“Il fine giustifica i mezzi”.
Frase di Gandhi da incorniciare:
“Il sentiero della nonviolenza richiede molto più coraggio di quello della violenza. È in ogni caso meglio essere violento che mettere la cappa della non violenza per coprire l’impotenza”.
5) Per concludere, i quattro pilastri della cultura della pace sopra richiamati (ma forse è meglio utilizzare il plurale di “culture”), cioè unica umanità organizzata, responsabilità ecologica globale, eguaglianza delle diversità nel diritto, nonviolenza come forza dell’unità popolare, dovrebbero necessariamente fare capo alla “conversione ecologica” come alternativa alla “crescita economica”, che è “tendenza alla guerra.
Conversione ecologica è un concetto inventato da Alexander Langer, oggi riproposto da Papa Bergoglio nella sua ultima, famosa enciclica “Laudato si’”.
Su questo tema – crescita di guerra vs decrescita di pace – è stata svolta una relazione al Convegno “Rigenerare il futuro” (Parma, 5/6 novembre 2015), che è da riprendere nei suoi concetti essenziali.
La “crescita” (più PIL, più consumo di materia ed energia, più pressione sugli ecosistemi, più avidità di cose, più competizione e prevaricazione sull’altro “differente”, più concentrazione di segni monetari, ma anche di controllo reale di risorse, verso l’1% già straricco) è tendenza alla guerra.
La conversione ecologica, la conversione all’economia della sobrietà, è, al contrario, costruzione della pace. Partiamo dalla coscienza che la vera ricchezza è il nostro Pianeta da preservare, la Natura, la materia vivente di cui siamo fatti, con il compito comune di custodirla consapevolmente e responsabilmente perché anche le generazioni che verranno possano abitarla, coltivarla e goderla.
La crescita si nutre di politiche di guerra perché è strutturalmente congiunta con un modello di sviluppo belligero.
La conversione ecologica ha bisogno di politiche di pace perché persegue un modello economico, sociale e politico intrinsecamente pacifico. La pace positiva si fa con una sostanziale eguaglianza sociale, sconfiggendo il patriarcato che nasce dalla guerra (una invenzione dei “maschi” che hanno messo sotto le donne), e si fa con la Natura.
La crescita promuove l’energia “dura” del nucleare perché l'”anima” della tecnologia atomica è la potenza militare. L’atomo cosiddetto “civile” è solo un sottoprodotto di quello militare.
La conversione ecologica si appoggia sul modello energetico rinnovabile al 100% perché esso traina ed esige partecipazione popolare, opportunità egualitarie e rispetto della natura: è quindi preparazione della pace costruita con percorsi di pace, avvalendosi dell’omogeneità tra mezzi e fini, della strategia e dei metodi nonviolenti, per come sono stati sommariamente descritti.
La crescita è sfruttamento garantito dalla violenza delle risorse energetiche non rinnovabili: i combustibili fossili – carbone, petrolio e gas – ma anche il materiale fissile fornito da uranio e plutonio. La loro economicità è solo apparente perché i costi veri non calcolati di estrazione, produzione, distribuzione, consumo sono scaricati sulla società e l’ambiente. Tra i costi vanno compresi le politiche di potenza, gli strumenti e gli interventi militari necessari a controllare risorse non sparse ovunque ma concentrate in specifiche località spesso lontane. Si pensi, ad esempio, a quanto è affermato nel concetto strategico della NATO (ed è quindi recepito da tutti gli Stati che costituiscono tale Alleanza militare): la “sicurezza energetica” è un “interesse vitale” da difendere con mezzi militari. (Per il testo ufficiale del concetto strategico elaborato al vertice di Lisbona del 2010 si vada alla URL : http://www.nato.int/lisbon2010/strategic-concept-2010-eng.pdf).
Come è ormai certo, l’uso di combustibili fossili è un attentato alla sopravvivenza dell’umanità perché la produzione di gas serra dà origine ad un riscaldamento globale catastrofico. Ma è anche alla base di tanto sangue che scorre, delle cosiddette “guerre per il petrolio”, che costituiscono la componente più rilevante della conflittualità violenta che oggi affligge il mondo.
La conversione ecologica non può concepirsi senza l’adozione di un modello energetico rinnovabile: l’energia è, qualitativamente, metà economia, la base di qualsiasi economia, anche dell’economia alternativa. Ma un tale modello decentrato e democratico, che crea occupazione e va a colpire le sperequazioni di reddito, non può essere costruito se non contrastando le tendenze e le politiche di guerra, connaturate alla crescita, che abbisognano, per preparare e per fare le guerre, dei combustibili non rinnovabili così come i motori attuali (nel modello di consumo della società della crescita!) necessitano di benzina o di gas.
La tendenza alla guerra, radicata nella crescita, va contrastata esplicitamente e con sinergie organizzate da tutti i movimenti che si battono per l’alternativa sociale (ecopacifisti, femministi, sindacali di base, di difesa dei territori e dei diritti sociali). Essa è il terreno prioritario in cui la loro convergenza è doverosa soprattutto perché la realtà dei fatti oggi, con la possibilità che i conflitti degenerino nel confronto nucleare “per incidente, per caso o per errore”, rappresenta la minaccia più immediata e concreta non solo alla sopravvivenza dell’umanità ma addirittura della vita stessa.
Questa pluralità di movimenti sociali lavora da tempo per cercare di cambiare le proprie vite insieme al mondo: le nuove culture della pace riposano nelle loro pratiche e nelle loro mani, i cinque pilastri culturali sono per essi, in un certo senso, come la scoperta dell’acqua calda.
Ma il problema è che spesso quest’acqua nuova e pulita delle idee è frammista a tanta fanghiglia ereditata da un passato, oltretutto molto recente, in cui sono stati tentati assurdi “assalti al cielo” per costruire paradisi in terra.
Esiste la necessità di separare la nuova acqua pulita di idee realmente adeguate alla sfida dei tempi con la vecchia acqua sporca di idee che la Storia si è incaricata di dimostrare fallimentari: il presente “bignamino” forse può contribuire a fare chiarezza in tal senso.
(quasi un “bignamino”…) – Di Alfonso Navarra (www.osmdpn.it)
Milano 7 gennaio 2016