Qualcuno, prima o poi, ce ne chiederà conto

La-rabbiaUn’altra tragedia annunciata a poche ore dall’avvio del nuovo programma dell’agenzia Frontex, Themis, che riduce ancora di più l’azione di salvataggio delle forze europee, rendendo sempre più difficile soccorrere le persone e portarle in Italia, vanificando, di fatto, la speranza di raggiungere un paese sicuro nel quale chiedere protezione e aumentando invece il numero di coloro che, intercettati dalla Guardia Costiera Libica, saranno rispediti nel paese da cui cercavano di fuggire.

Nel mese di gennaio in Italia (dati del ministero dell’Interno) sono arrivate circa 4.000 persone via mare, la maggior parte dalla Libia. Sono meno di quelle arrivate nel 2016 (5.182) e nel 2017 (4.247). Nello stesso mese di gennaio la guardia costiera libica (dati pubblicati sul loro sito) ha riportato indietro circa 1.500 persone. Il dato spiega perché c’è stata questa diminuzione degli arrivi di cui Minniti, il nostro governo, e l’Europa vanno molto fieri.

Quelle 1.500 persone sono state caricate su motovedette pagate dall’Italia con le risorse destinate alla cooperazione internazionale. Sono state rinchiuse negli stessi centri dai quali erano scappate, lager in cui si muore, si subiscono violenze di ogni tipo, si viene ricattati. Detenzione di massa, arbitraria e a tempo indeterminato di cui parla anche il recente rapporto di Amnesty International.

Molti di coloro che vengono riportati nell’inferno libico torneranno a esser schiavi: le ragazze e i ragazzi dell’africa subsahariana che riescono a raggiungere il nostro Paese hanno iniziato a raccontare quel che gli europei hanno visto in tv. Parlano di schiavitù, ricordano come i libici li acquistassero all’asta per portarli a lavorare nelle loro terre. E tantissimi sono minorenni.

E nonostante tutto ciò, il nostro governo non ha alcun pudore nel vantarsi per la diminuzione degli arrivi. Come non l’ha avuto esattamente un anno fa, quando ha siglato l’accordo con il governo, provvisorio e non riconosciuto dalla maggioranza dei libici, di Al Serraj.

Nessuna vergogna per la recente decisione di inviare truppe in Niger, a sorvegliare la frontiera con la Libia e impedire ai migranti di attraversarla.
Nessuna vergogna per l’espulsione arbitraria di cittadini sudanesi in base all’accordo firmato dal capo della polizia italiana con il suo omologo sudanese, per riportare «a casa» i rifugiati del Darfur, mettendoli nelle mani di un dittatore sul quale pendono due mandati di cattura internazionali per crimini contro l’umanità.
Tutte azioni per le quali c’è poco da andar fieri, ma che hanno fatto di Minniti il ministro più popolare del Governo Gentiloni, il suo fiore all’occhiello.

La campagna razzista di diffamazione contro le persone di origine straniera e le organizzazioni che ne promuovono i diritti, è uno degli strumenti, forse il principale, usato per raccogliere consenso in Italia e oramai in tutta Europa.

C’è un razzismo esplicito, quello delle frasi che cominciano con «io non sono razzista ma…», che ricorre ad affermazioni false, ma ormai sedimentate: l’invasione, i clandestini, il pericolo per la sicurezza, l’incompatibilità culturale («non sono integrabili»).
E poi c’è un «razzismo democratico», politicamente corretto (o aspirante tale), che si pone l’obiettivo di sottrarre spazio ed elettori alle destre, con risultati di indubbio insuccesso.

A quest’ultima categoria appartiene la dottrina Minniti, rappresentante di quella corrente della famiglia socialista europea che ha deciso di intraprendere questa strada oramai tanti anni fa con l’inglese Blair e con il nostrano Veltroni (chi si ricorda dell’omicidio Reggiani e delle scintille securitarie dell’allora sindaco di Roma?).

Le scelte del nostro «ministro dell’insicurezza percepita», in quest’ultimo anno, puntano su due assi principali: non fare arrivare sulle nostre coste le persone in cerca di protezione (si chiama esternalizzazione delle frontiere) e criminalizzare i rifugiati (con la legge Orlando Minniti) e coloro che cercano di tutelarne i diritti (le Ong, con il Codice Minniti).

Intanto il Mediterraneo continua a ingoiare vite umane. Nel mese di gennaio si registrano, senza contare i 90 dispersi di ieri, 250 morti, rispetto ai 90 del gennaio 2016 e ai 225 del gennaio 2017. Una strage che ha mandanti facilmente individuabili.
La responsabilità è nostra, dell’Italia e dell’Europa.

Qualcuno, prima o poi – speriamo molto presto – ce ne chiederà conto davanti ad un tribunale nazionale o internazionale.  Con o senza campagna elettorale.

Filippo Miraglia  (vicepresidente dell’Arci, candidato con Leu)

Il Manifesto 03.02.2018

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