Situazione abitativa a Milano
A Milano la situazione attuale sul versante abitativo è come noto molto difficile. Certo è il contesto nel suo insieme ad essere particolarmente critico, dove sia il sistema di welfare pubblico, sia il sistema dei diritti sono stati smantellati, sacrificando le poche tutele sull’altare delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni.
In Italia le politiche sulla casa hanno segnato definitivamente il passo, mantenendo la loro connotazione fortemente antisociale.
Si sono definitivamente realizzati gli obbiettivi neoliberisti di smantellamento del sistema giuridico-normativo e delle regole a presidio di una protezione minima all’accesso abitativo.
Sul versante delle politiche abitative il Governo Renzi ha prodotto un “Piano casa” (Legge 80/2014) che, sia dal punto di vista dell’ampliamento dell’offerta abitativa e della riduzione dell’emergenza, sia sul versante del rilancio edilizio, non è servito a molto.
I contenuti sono sostanzialmente simili a quelli dei suoi predecessori.
Trascurando una ovvietà, che le famiglie in disagio abitativo hanno redditi stabilmente bassi e che il problema è sempre più quello di costituire e privilegiare un’offerta alloggiativa pubblica a canone sociale.
Al contrario, si è rimasti del tutto incuranti della reale composizione sociale della domanda che scaturisce dalla lettura di semplici dati empirici, si continua, a tutti i livelli istituzionali, a redigere norme e fare scelte amministrative per organizzare una offerta per segmenti di domanda marginali da un punto di vista quantitative.
Si pianificano condizioni d’offerta che con la realtà, soprattutto con il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari delle famiglie povere, non c’entrano nulla e lo si fa nel modo peggiore e più molesto; da un lato sottraendo risorse all’edilizia pubblica e, dall’altro, avvolgendo queste scelte con la solita patina di socialità attraverso il coinvolgimento del “privato sociale” nella gestione dell’offerta e dell’emergenza abitativa.
Non se ne può più di discutere di scenari immaginifici in cui si realizzano mix sociali, etnici, generazionali o forme di solidarietà obbligata, mentre nella realtà le famiglie sfrattate finiscono in mezzo alla strada senza alcuna alternativa alloggiativa, neppure precaria.
Purtroppo anche a livello locale le scelte fatte dalla Giunta di Milano e dall’Assessorato alla Casa, sia sul merito delle decisioni prese, sia sulle modalità attuate nell’ambito delle relazioni sindacali non si sono discostate da queste logiche.
Inoltre le scelte in questo comparto non solo sono servite poco o nulla per gestire la crisi abitativa milanese, ma addirittura ne hanno peggiorato le condizioni ed escluso dalla tutela proprio i soggetti più poveri.
All’inizio della consigliatura una intrinseca debolezza nell’azione di Giunta e dell’Assessorato alla Casa è stata bilanciata da corretti e buoni rapporti sindacali, i quali hanno, in effetti, portato alla sottoscrizione di importanti e positivi protocolli di intesa.
Con l’avvicendamento assessorile la situazione è decisamente peggiorata.
L’accordo sulle politiche abitative e quello sulla gestione delle situazioni di occupazione abusiva delle case popolari, non sono mai stati attuati, sia nella parte di merito, sia su quella delle relazioni sindacali.
Il Fondo per l’incremento dell’edilizia a canone sociale, alimentato, tra l’altro, da almeno 20 milioni di euro che la Giunta si era impegnata ogni anno a mettere in bilancio non è mai partito.
In realtà tutto l’Assessorato alla Casa, nella sua direzione politica e nella sua struttura tecnico-amministrativa, non ha svolto alcun ruolo di reale direzione della politica abitativa.
In particolare l’Assessore si è fatto dettare i tempi e gli argomenti dalle necessità della struttura, rimanendone travolto.
Nemmeno una delle iniziative lanciate con grande risalto mediatico dall’Assessore Benelli (fra queste anche quella dell’Agenzia sociale per la locazione, il Bando per la morosità incolpevole, la firma dell’Accordo Locale, i bandi specifici per alcune categorie sociali,…) è servita a diminuire, neppure lievemente, l’emergenza abitativa a Milano.
Le decisioni dell’Assessorato, evidentemente tese a diminuire l’intervento pubblico a sostegno dei soggetti in emergenza abitativa, al contrario, hanno contribuito ad aumentarla e a mettere in ulteriore difficoltà le famiglie, come ad esempio il blocco della possibilità di presentare domande di emergenza; la riduzione del numero dei bandi per la casa popolare; la riduzione delle risorse per la collocazione in albergo delle famiglie sfrattate; la ristrutturazione organizzativa del settore ERP; la costante sottrazione dall’assegnazione di alloggi popolari da destinare, invece, al privato sociale; il ritardo nella consegna degli alloggi comunali disponibili; la mancata applicazione degli accordi sindacali sottoscritti sulle politiche abitative e le occupazioni abusive.
In una situazione dove 23.000 famiglie sono in graduatoria di cui oltre il 60% con reddito ISEE inferiore a 7.500 euro e dove ci sono 15mila sfratti in corso con richiesta di concessione della forza pubblica
Dove sono giacenti 3.064 domande in deroga di cui circa 2.400 per sfratto e oltre 450 famiglie hanno l’assegnazione sulla carta, ma senza offerta di casa popolare, e di queste circa 270 con sfratto eseguito.
Mentre le assegnazioni l’anno passato sono state solo circa un migliaio.
A fronte di questi numeri impressionanti, ma non certo nuovi, bisogna rilevare che l’aggravamento dell’attuale situazione di emergenza abitativa a Milano e la diminuzione delle possibilità di tutela delle famiglie in emergenza abitativa, è, soprattutto, la conseguenza delle scelte politiche e delle iniziative gestionali dell’Assessorato alla casa, tanto inefficaci e pericolose, quanto enfatizzate e pubblicizzate sulla stampa come innovative ed epocali.
Sulla vicenda della morosità incolpevole si può infine misurare il fallimento delle politiche abitative dell’Assessore dopo che per mesi ha sostenuto che la soluzione al problema degli sfratti era l’Agenzia Sociale per la locazione e il rinnovo dell’Accordo Locale sugli affitti privati (nemmeno siglato dalle Organizzazioni Sindacali più rappresentative – SICET e Unione Inquilini).
Preoccupa, inoltre, la quasi totale sintonia tra l’Assessorato alla Casa comunale e quello della Regione Lombardia, sui contenuti di modifica della legislazione sull’accesso e la gestione dell’Edilizia Residenziale Pubblica. Un testo che sovverte i principi fondamentali sulla funzione delle case popolari.
Si sperava sinceramente di arrivare alla fine di questa consigliatura avendo finalmente realizzato alcuni degli obbiettivi che si erano condivisi nel 2011, sapendo che sarebbe stato necessario ancora del tempo per riuscire a restituire alla Città di Milano un sistema efficace di tutele per le migliaia di famiglie in crisi abitativa e, quindi, di fatto escluse dal sistema dei diritti di cittadinanza.
Ma alla fine Milano non è diventata come ci si era illusi un laboratorio di inclusione sociale, il territorio dei diritti e della solidarietà con il coinvolgimento di tutti i soggetti locali della rappresentanza sociale e sindacale.
Marco Pitzen (sicet / Quarto Oggiaro)
Componente del Consiglio Nazionale Sicet