Spreco di cibo? No grazie

Il 5 febbraio si è celebrata la 9° Giornata per la Prevenzione dello Spreco Alimentare, iniziativa di sensibilizzazione promossa sin dal 2014 dalla campagna Spreco Zero con il patrocinio della Commissione Europea e dei Ministeri degli Affari esteri e della Transizione Ecologica.  Il tema di quest’anno è “One health, one earth. Stop food waste”.

Qui il link al video della Giornata.

L’osservatorio Waste Watcher

L’iniziativa si propone di sostenere un confronto fruttuoso tra istituzioni, portatori di interesse e cittadini sulle tematiche dello spreco alimentare: non solo una mera denuncia della situazione di fatto, ma l’intenzione di giungere a un cambiamento di paradigma, cercando di andare alla radice degli sprechi e trovare soluzioni per prevenirlo, o almeno ridurlo.

Il principale strumento e punto di partenza delle riflessioni è rappresentato dai dati che l’Osservatorio Waste Watcher sullo spreco alimentare domestico rileva annualmente. Il progetto, avviato nel 2013 dall’agroeconomista prof. Andrea Segrè, fotografa lo stato delle opinioni e delle autopercezioni dei cittadini su queste tematiche. Negli ultimi anni, inoltre, l’indagine si è allargata oltre i confini nazionali andando a considerare una platea di 8 paesi: Italia, Spagna, Germania, UK, USA, Canada, Russia e Cina.

I risultati

Tra i moltissimi dati resi disponibili, alcuni ci sembrano particolarmente rilevanti (fonte: Osservatorio Waste Watcher International di Last Minute Market – campagna Spreco Zero. Elaborazione Università di Bologna su rilevazione Ipsos).

Innanzitutto una visione d’insieme del nostro paese. Le rilevazioni mostrano che in Italia lo spreco domestico pro-capite è di circa 31 kg all’anno (595 g a settimana) ed è aumentato del 15% rispetto allo scorso anno. Per gli affezionati di cifre, si parla di circa 1,9 milioni di tonnellate di cibo sprecato solo in Italia ogni anno, che tradotto in termini monetari significa circa 7,5 miliardi di euro. Nota: nonostante questi numeri, l’Italia rimane comunque la meno sprecona tra gli 8 paesi analizzati. E non si sa se gioire o crucciarsi.

Con uno sguardo più analitico, emergono poi differenze legate alle variabili geografiche, sociali e socioeconomiche.

Che il paradigma della “metropoli green”, tanto amato e sbandierato almeno a partire da Expo 2015, goda di qualche fondamento? Abbiamo, oggi come allora, i nostri dubbi.

Molto interessante, infine, è osservare le affermazioni degli italiani rispetto alle strategie anti spreco.

Ciò che emerge, infatti, è che il maggiore spreco avviene al momento dell’acquisto: meno della metà degli intervistati mette in atto strategie di acquisto per ridurre gli sprechi, utilizzando accorgimenti di pianificazione della spesa. Compriamo troppo, compriamo cose che non riusciamo a consumare.

D’altra parte, ci riteniamo molto attenti alla gestione della dispensa, se è vero che più dell’86% degli intervistati afferma di mettere in atto strategie di consumo per ovviare allo spreco. Come dire, siamo dei buoni amministratori di un condominio troppo affollato.

Da notare, infine, che l’utilizzo di app e piattaforme online che aiutano a smaltire eccedenze della filiera e la pianificazione domestica non raggiunge il 10%.

I will survive

Sarebbe interessante interrogarsi sull’origine di questa sorta di compulsione all’acquisto, quasi  una preoccupazione survivalista, che ci induce a riempire carrelli e dispense di provviste salvo poi procurarci, nel migliore dei casi, grattacapi e preoccupazioni per non sprecare ciò che abbiamo comprato.

Il primo e più facile colpevole da additare è probabilmente il marketing, con il correlato di falsi bisogni che esso genera: un ottimo e accessibile antidoto a questo genere di meccanismi tanto subdoli quanto potenti sarebbe abbracciare uno stile di vita più sobrio, più frugale: e cioè mangiare meno, mangiare meglio.

Per i patiti dei pranzi luculliani che sentono come una vera privazione l’idea di diminuire le razioni, invitiamo a considerare un solo dato: il nostro corpo è progettato per sopportare periodi di digiuno – e questo ha il suo fondamento in motivazioni prima di tutto adattive.

Il dato interessante è che brevi periodi di digiuno rappresentano una strategia di auto-depurazione dell’organismo attraverso la quale le cellule, non ricevendo più nutrimento dall’esterno, iniziano a consumare i depositi, smaltendo anche elementi potenzialmente dannosi (per un approfondimento più autorevole, si possono leggere le considerzioni del prof. Berrino).

Di contro, è bene ricordarlo, i dati sulla pericolosità della cattiva e dell’eccessiva alimentazione sono ormai mainstream e non è più possibile trovare scuse per ignorarli.

La nostra stessa sopravvivenza e la nostra salute, dunque, sono oggi inscindibilmente legate al buon uso che sapremo fare del cibo.

Perché i GAS?

Nell’ottica di queste considerazioni, l’esperienza dei Gruppi di Acquisto – sebbene tristemente nemmeno considerata nello studio – rappresenta un luogo di riflessione importante sui due fronti: quello della consapevolezza e quello delle strategie.

I rapporti con i produttori

In termini operativi e pratici, la pianificazione degli acquisti sembra tanto più necessaria quanto più i GAS, per loro natura, prediligono acquisti di quantità consistenti di cibo. Per non diventare un’arma a doppio taglio, che nel concentrarsi sulla sostenibilità ecologica (trasporti, packaging) rischia di produrre maggiore spreco domestico, questo genere di esperienze non possono esimersi dall’essere luoghi di condivisione di buone pratiche di economia domestica.

Certamente il rapporto diretto tra produttore e consumatore, tipico di realtà quali i GAS, permette di bypassare buona parte delle strategie di promozione e pubblicità che indirizzano in maniera deviata i nostri desideri e decisioni di acquisto. I rapporti con i produttori, poi, si sostanziano in patti di acquisto che, oltre a consentire una certa tranquillità economica al produttore e una prezzo finale “trasparente”, consentono una migliore previsione di produzione (con conseguente riduzione delle perdite a monte) e una più agevole pianificazione degli acquisti da parte dei soci.

Il cibo e il suo valore

La riflessione sul valore del cibo consente di sviluppare una sempre maggiore consapevolezza e una profondità di visione. Recuperare un rapporto più vero con il cibo significa anche demercificarlo, accorgersi cioè che esso non è in alcun modo riducibile al suo valore di mercato (monetario). Il cibo, oltre a essere un bene primario e come tale un diritto fondamentale, può e deve essere considerato sotto molteplici aspetti: concentrato di tradizioni e sapienza antica, frutto del lavoro umano, connessione profonda con il mondo naturale e con gli ecosistemi, fonte di piacere e convivialità. 

In quest’ottica, il nostro GAS partecipa all’esperienza di AMAP MadreTerra per una agricoltura sana, giusta e di prossimità, ma non solo.

Acronimo di Association pour le Maintien de l’Agriculture Paysanne, questo genere di sperimentazione mira a scavalcare i ruoli di produttore e consumatore attraverso la creazione di una “comunità di supporto” (il punto di arrivo ideale è la creazione di una CSA – per approfondire: https://www.arvaia.it/) in cui i soci condividono i rischi di impresa in termini economici e tutte le decisioni gestionali e organizzative (anche in campo!). Un modo per decostruire la concezione del cibo come bene di consumo, oggetto tra gli oggetti.

All’opera!

Nel corso della lunga vita del nostro GAS molte sono state le occasioni, anche pubbliche, di confronto sui temi della conservazione dei cibi.

Innanzitutto, quali sono le cause delle degenerazione degli alimenti? Quali i metodi migliori per la conservazione? Una serie di incontri con la dott.ssa Marina Mariani, esperta di alimentazione, ha condotto all’elaborazione di una ricca dispensa che può fungere da guida e supporto per comprendere le basi scientifiche di questi processi.

D’altra parte, le azioni quotidiane che possiamo mettere in atto sono molte.

Scarto a chi?

Cambiare il nostro rapporto con ciò che si considera “scarto” è possibile, adattando il conosciuto adagio popolare: “Delle verdure non si butta via (quasi) niente!”… neanche le bucce!

Cosa dire poi degli avanzi, onnipresenti compagni di vita che rischiano però di essere dimenticati in angoli remoti del frigorifero? Al grido di “sprechiamo un po’ del nostro tempo in cucina!”, abbiamo raccolto alcune idee sulla gestione etica della dispensa, sulla pianificazione della spesa e sul riuso degli scarti alimentari. Eccone alcune, raccolte in una pratica guida.

Evergreen

Infine, come conciliare il rispetto della stagionalità degli alimenti con il desiderio di concedersi qualche sfizio (e non rischiare, in inverno, di assumere i tratti somatici di un cavolfiore)?

Le possibilità di conserva degli alimenti sono moltissime e cimentarsi nella sperimentazione, da soli o in compagnia, è una pratica gioiosa e gratificante – oltre che golosa!

Oltre ai ben conosciuti metodi di conservazione usati in particolare per gli ortaggi, quali sott’olio, sotto sale, sott’aceto, è bene ricordare che anche sostanze quali alcool e zucchero sono formidabili nella conservazione degli alimenti. Cosa dire poi dell’intramontabile passata di pomodoro? L’estate scorsa ci siamo cimentat@ nella pummarola collettiva: 

 

Una pratica forse meno conosciuta è invece la lattofermentazione, un processo che permette la creazione di un ambiente a PH acido, inospitale per batteri patogeni e invece molto utile per favorire la digestione umana.

In ultimo, ricordiamo la tecnica dell’essiccazione. Eliminare l’umidità dagli alimenti è il modo più semplice per salvaguardarli dal rischio di muffe e di degradazione. I tetti terrazzati tipici dell’architettura mediterranea, dalla Sicilia al Maghreb, consentono tutt’oggi di sfruttare il clima secco e la forza del sole per l’essiccazione. In alternativa, chi come noi vive tra le nebbie padane può acquistare un essiccatoio domestico!

Mangiare soddisfa un bisogno primario

Alimentarsi in modo sufficiente e salutare rappresenta – dovrebbe rappresentare – un diritto fondamentale per tutti gli abitanti della terra. 

Tuttavia, i dati globali ci presentano un mondo totalmente squilibrato con grandi disparità in termini di accesso e distribuzione degli alimenti; enormi sono, poi, gli impatti negativi sulla salute e sull’economia ma anche sull’ambiente e il clima. L’obesità e le malattie ad essa correlate sono una delle piaghe dell’odierna società occidentale mentre, dall’altra parte, almeno 3 miliardi di persone al mondo non possono permettersi un’alimentazione sana (dati State of Food Security and Nutrition in the World ed. 2020). 

Disparità

Se è ancora presto per valutare appieno le conseguenze della pandemia da Covid-19, le Nazioni Unite stimano che tra 720 e 811 milioni di persone nel mondo hanno dovuto affrontare la fame nel 2020: ben 161 milioni di persone in più che nel 2019.  La pandemia ha messo in luce le inadeguatezze dei sistemi alimentari globali e ha reso evidenti – se ancora ce ne fosse bisogno – gli squilibri strutturali tra le diverse aree del pianeta: la sicurezza alimentare, concepita in termini di possibilità di accesso a cibo sano e di qualità e obiettivo ambizioso dell’Agenda 2030, sembra sempre più lontana.

Il battito d’ali di una farfalla

Globalmente, lo spreco prodotto lungo le filiere della produzione agroalimentare rappresenta il 33% del totale. Non mancano poi situazioni paradossali e preoccupanti: in Africa ad esempio lo spreco alimentare dovuto alle inefficienze della catena del freddo causa la perdita di circa il 50% della produzione agricola. Si stima che 1,4 miliardi di ettari di terra vengano sprecati ogni giorno perché su quel terreno si produce cibo che poi viene sprecato. Inoltre, in termini di gas climalteranti emessi a livello globale, lo spreco equivale a 3,3 miliardi di tonnellate di C02 all’anno.

Insomma, se il cibo non fosse sprecato nei campi, nelle case e nei nostri stomaci, oggi potremmo nutrire più del doppio degli abitanti attuali della terra e ridurre drasticamente l’inquinamento. 

Lo sviluppo sostenibile e di giustizia passa anche dalla consapevolezza su ciò che possiamo fare come individui e collettività a partire dalla nostra alimentazione, adottando uno stile di vita più equilibrato, senza peraltro particolari stravolgimenti. 

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